un no lungo come l’Italia

Modena 18 Maggio 2009

Relazione di Laura Piretti al Convegno Le radici culturali della violenza Modena, Facoltà di Lettere e Filosofia 22 maggio 2009 in occasione del passaggio della Staffetta di donne contro la violenza sulle donne.

Una staffetta contro la violenza sulle donne

Questo Convegno si svolge quando la tappa modenese della Staffetta di donne contro la violenza sulle donne è arrivata al suo penultimo giorno. Dunque già altre volte, nel corso della diverse iniziative che si sono succedute, sono state esposte le caratteristiche essenziali della staffetta: un’anfora portata da due donne, partita da Niscemi in Sicilia il 25 novembre scorso e che arriverà a Brescia, attraversando tutta l’Italia, il 25 novembre prossimo. Dentro l’anfora pensieri, riflessioni; attorno all’anfora iniziative, mobilitazione, donne e uomini che dicono basta alla violenza contro le donne e, per un momento o per sempre, decidono di essere testimoni di un nuovo modo di vivere i rapporti fra uomini e donne.
Più volte è stato fatto il nome di Lorena e di Hiina (uno slogan della staffetta è, ad esempio,Hiina e Lorena siamo noi), e detto che la loro uccisione da parte di giovanissimi del branco, nel caso di Lorena, e degli uomini di famiglia, nel caso di Hiina, così apparentemente agli antipodi, sono in realtà le due facce della stessa violenza.

Ti uccido perchè ti disprezzo e ti odio, ti uccido perchè volevo solo il tuo bene; vi uccidiamo, a Niscemi e a Brescia, soprattutto perchè vi siete ribellate e non dovevate farlo.
Così un’associazione femminile come l’UDI, che negli ultimi anni ha portato avanti due campagne che lasciano il segno: 50E50…ovunque si decide sulla presenza paritaria delle donne nelle liste elettorali, ma anche in tutti luoghi dove si decide, e Stop al femminicio di cui ora vediamo un’azione, la Staffetta appunto. Per unire due tragici episodi così lontani fra loro, tanto che in mezzo c’è praticamente tutta l’Italia, diversi perchè avvenuti l’uno ad opera di italiani, l’altro maturato in una famiglia pakistana, ma che proprio nella loro apparente diversità rappresentano l’essenza stessa della violenza contro le donne, che è violenza di uomini contro le donne, uomini di tutte le età e di tutte le condizioni sociali e di tutte le nazionalità, di tutte le religioni e culture, violenza che si manifesta, innanzi tutto come negazione di libertà nei confronti dell’essere femminile.
Oggi vorrei raccontare “la staffetta” non come insieme di eventi, (le diverse tappe, le regioni attraversate, le città, i luoghi che hanno accolto l’anfora) sebbene sia certamente straordinario quello che è già accaduto e che sta accadendo. Abbiamo foto, filmati, resoconti che speriamo di riuscire ad unire per dare il senso, anche fisico, di questo viaggio.
Vorrei soffermarmi sulla staffetta come intreccio di fatti e di idee, una specie di staffetta del pensiero che appartiene però, in massima parte, al periodo precedente e che, in un certo senso, ha portato alla staffetta vera, quella dell’anfora. Come vi fossero due momenti: il crescendo di vicende, ma anche di riflessioni e pensieri che sono approdati alla necessità di muoversi, di mobilitare, di scuotere, dando voce all’urgenza di dire basta e al desiderio che a dire questo basta, fossero in tanti, donne, ma anche uomini, di generazioni diverse, in luoghi diversi.
Sono certa di raccontare una storia per certi aspetti nuova, perchè queste cose non si trovano sui giornali o nei telegiornali, così come, salvo qualche rara eccezione, difficilmente troverete notizia della staffetta se non nella stampa locale.

Quando fu uccisa Hiina Salem, l’11 Agosto del 2006, il dibattito socio politico sulla stampa e nelle televisioni, ancora impegnato a commentare i risultati delle recenti elezioni politiche, si era appena appena smosso rispetto all’indifferenza precedente, ma era ancora distante dalla sensibilità che oggi i media mostrano sui tema della violenza contro le donne.
Invece già da allora, anzi da prima ancora, sulla violenza contro le donne, da mesi, si andavano moltiplicando ed infittendo le prese di posizioni delle donne e delle loro associazioni, L’UDI certamente, e non solo l’UDI. Che cosa era successo, che cosa stava accadendo?
Negli anni precedenti avevamo denunciato insieme con altre associazioni, gruppi pacifisti, coordinamenti femminili contro la guerra, la questione degli stupri di guerra, o degli stupri ai confini, denunciando l’aspetto planetario della violenza contro le donne. Violenza in tanta parte del mondo collegata alla povertà più estrema, alla subalternità, all’analfabetismo, allo stretto controllo e familiare. Le stesse campagna contro le mutilazioni genitali femminili, che negli ultimi dieci anni abbiamo fatto a più riprese, con nostre azioni o insieme ad AIDOS, erano collegate al contrasto di questa violenza planetaria, di cui le mutilazioni genitali ci sembravano un esempio fra i tanti seppure così shoccante.
Sapevamo infine benissimo che questa violenza, proprio perchè planetaria, era anche fra noi. Gli scarni dati sulla violenza contro le donne che le autorità fornivamo non erano assolutamente attendibili, perchè rimaneva fuori da quelle rilevazioni, incentrate solo sulle violenze sessuali, la maggior parte della violenza domestica, che ora tutti ammettono essere più del novanta per cento della violenza subita dalle donne.
Tenendo conto di questo divario, fra i dati ufficiali e i dati nostri, dei centri contro la violenza, delle associazioni delle donne che si occupavano delle donne vittime di violenza, mostrava ormai la sua arretratezza anche la legge in vigore e si chiariva la necessità di avere strumenti più adeguati per contrastare la violenza.
Vale la pena soffermarsi su questo, perchè da sempre complessità e difficoltà accompagnano i numerosi tentativi di dare risposte alla violenza contro le donne e tali difficoltà indicano quante e quanto grandi, al di là delle parole rassicuranti, siano in realtà le resistenze a garantire alle donne integrità, sicurezza e libertà.
Ho detto che mostrava la sua insufficienza la legge attualmente in vigore, alla quale, per fortuna, proprio nell’aprile scorso si è aggiunto il riconoscimento del reato di stalking, stralciando e portando avanti solo questo capitolo da tutte le proposte di una nuova legge che negli anni si sono succedute.

Si tratta certamente di un passo avanti, ma ancora insufficiente. Eppure questa legge che già mostra la corda, è stata nel suo ultimo punto (quello dell procedibilità d’ufficio), approvata solo nel 1996, solo tredici anni fa, ma già vent’anni dopo che le donne, attraverso una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare, avevano iniziato l’iter per liberarsi dalle iniquità del codice Rocco.
Quella legge, conquistata a fatica dalle donne e arrivata a compimento dopo vent’anni, ebbe dunque un percorso tortuoso e difficile soprattutto per i suoi punti più qualificanti che provocavano continue battute d’arresto. Certamente fu lungo e difficile far passare il principio che la violenza sessuale fosse un reato contro la persona e non contro la morale e questo la dice lunga sull’arretratezza del nostro paese a riguardo.

D’altra parte non è solo nell’81 che il nostro ordinamento giuridico si è liberato dalla vergogna del delitto d’onore? Ci sembrava comunque, e le giuriste con cui ci confrontavamo ci davano ragione, che troppo della violenza contro le donne rimanesse fuori da quella legge e che avessimo bisogno di una nuova legge che tenesse insieme, così come spesso insieme la subisce la donna, la violenza sessuale, le botte, i maltrattamenti fisici e psichici, sotto un’unica voce, Violenza contro le donne, che riconosca il carattere”di genere” di tali reati. Solo così si possono avere strumenti più precisi di contrasto.
Questa, proprio questa è stata la molla che, dal 2005 ad oggi ha cambiato il dibattito sulla violenza contro le donne, almeno in Italia: dare un’identità a questo tipo di violenza, riconoscerla come “sessuata”.
Nell’inverno – primavera 2005 ci fu una vera ecatombe (ma tutti gli anni, almeno i più recenti, abbiamo scoperto, sono uguali) le donne morte ammazzate, sui marciapiedi, sulle scale, per strada, davanti ai tribunali, tutte o quasi ad opera di mariti, fidanzati, conviventi o ex mariti, ex fidanzati conviventi. Abbiamo incominciato, fra noi, nei nostri documenti, nei nostri comunicati stampa, a metterle in fila, a ragionare su quelle morti tutte diverse e tutte uguali. Lei lo lascia o lo ha lasciato, lui non accetta, lui si apposta, lui tormenta per anni, minaccia, uccide.
Accanto a queste uccisioni, che venivano sui giornali riportate come semplici fatti di cronaca nera, senza un approfondimento su quelle caratteristiche simili che le legavano fra loro, senza chiedersi se fossimo per caso di fronte ad un reato specifico, particolare, vi erano spesso, troppo spesso, commenti sulla fragilità di chi non sopporta l’abbandono, sulla fragilità maschile, l’amore che diventa violento, sui troppo amore.

Era quindi abbastanza chiaro come, accanto ad una sottovalutazione delle caratteristiche di genere di questi delitti, vi fosse però, diffusa, serpeggiante una sorta se non di assoluzione certamente di giustificazione, fino, qualche volta, alla colpevolizzazione della donna. Lo aveva lasciato, povero lui che era stato lasciato.

L’UDI nazionale si collegò ad altre associazioni e gruppi e nel Giugno 2005 si fece un presidio davanti a Montecitorio, con le croci rosa, “contro i delitti del disonore”, contro la violenza domestica, lo stupro e il femminicidio; stop al femminicidio si disse. Ecco questa parola chiariva tutto.
Il termine femminicidio fu usato per la prima volta a Ciudad Juarez, una città messicana ai confini con gli Stati Uniti, tristemente famosa proprio per la mattanza delle donne che lavorano sui confini, nei campi, nelle aziende. Dal 1993 ad oggi sono state uccise più di 400 donne e più di 600 sono scomparse, rapite dalla malavita locale, sfruttate nella prostituzione, nella pornografia, e poi, quando non servono più, uccise.

Trovammo questo termine adattissimo per chiarire la natura di questi delitti. Una dopo l’altra l’elenco delle donne ammazzate cresceva, cresceva anche la consapevolezza che a quel tipo di delitto andava dato un nome, e questo lo avavamo trovato, ma andavano date delle risposte che presupponevano prima un riconoscimento. Quella cosa andava vista, svelata.
Quando durante l’estate 2005, come in tutte le estati, e poi ancora nella primavera – estate 2006, aumentarono le violenze sessuali contro le donne, quelle per strada, tanto per intenderci, e vi furono episodi particolarmente drammatici, dai giornali, dai dibattiti televisivi fu finalmente decretato “lo stato di emergenza” per la violenza contro le donne, ma ancora era esclusa da questa emergenza la violenza domestica, ancora era escluso il femminicidio.

Soprattutto nei media e nei dibattito politico il dato era che le strade erano insicure, i parcheggi bui, le fermate dell’autobus isolate e pericolose, ma soprattutto gli stranieri e poi negli anni i Rom, in particolare, erano troppi, erano violenti erano loro, soprattutto gli stupratori. Questo tipo di attenzione, in definitiva, se anche aveva il vantaggio di riempire i giornali di quello che da tanti anni ci scandalizzava e che invece cadeva sotto silenzio, vale a dire la violenza contro le donne, in realtà così incentrato sui cespugli, i parcheggi e i campi Rom, non penetrava ancora la questione più grave perchè quotidiana, nascosta, dilagante, della violenza domestica. Questa era per noi la tremenda, quotidiana emergenza, contro questa emergenza le donne e in particolare l’UDI, riuscirono finalmente a rompere il muro di silenzio.

Il presidio “Stop al femminicidio”, l’esposto dell’UDI nazionale al Procuratore Generale della Repubblica di Roma affinchè fossero attivate tutte le forme di indagine contro il reato di femminicidio e infine, fondamentale, 1-3 settembre 2006, la scuola nazionale di politica dell’UDI, a Casamassella, Lecce, Leggere una legge, una disamina della legge attualmente in vigore e del suo iter parlamentare, dal cui dibattito è derivato la definizione di “violenza sessuata”, sono le tappe nazionali di azioni e prese di posizione sulla violenza contro le donne che hanno contribuito a spostare in avanti nel suo complesso tutta la discussione nel paese.

L’uccisione di Hiina, avvenuta l’11 agosto del 2006, in piena “emergenza violenza contro le donne” (però quella decretata dalla stampa, quella che puntava il dito contro gli extracomunitari e non considerava il dato della violenza domestica e del femminicidio), per il risalto che ebbe sulla stampa, per la particolare efferatezza del caso, un vero e proprio agguato alla ragazza, spostò il dibattito dalle strade alle case, dallo sconosciuto al parente più stretto, dalla violenza sessuale alla violenza della negazione della libertà. Un padre, un fratello un cognato, una madre in un ruolo fra vittima e complice, certamente succube di quella tradizione, tutta maschile, che aveva condannato a morte la figlia perchè si vestiva, viveva, pensava all’occidentale.

Le donne si sono interrogate a lungo sulle differenze culturali, sul fatto che anche la libertà ha diversi modi di essere coniugata, ma ciò non ha mai offerto alibi per la violenza contro le donne.
Troppo alta ormai la consapevolezza che la violenza contro le donne usa le diverse tradizioni per esprimersi, ma ha sempre lo stesso scopo:negare che il mondo è molteplice e che alla base di questa molteplicità c’è la dualità prima e paritaria, quella fra donna e uomo.

La storia di Hiina, preceduta, seguita da altre vicende simili, aveva chiarito come la pretesa autorità maschile sulle donne potesse arrivare a questi estremi ma, mentre ribadiva che la violenza è tra noi, perchè tra noi sono i barbari, cioè gli stranieri, lasciava intendere che non ci riguardava perchè noi siamo migliori.

Quando, nell’aprile del 2008, a Niscemi, galleggiante in un pozzo, fu trovato il corpo di Lorena, quattordici anni, seviziata, picchiata, soffocata da bulli locali, non islamici, non rom, che hanno deciso la sua fine per metterla a tacere, per punirla, per offenderla, per dimostrare chi erano i padroni, le cronache furono piene di orrore. Indimenticabile il diciasettenne che, dopo aver confessato, infine sbotta “ed ora posso andare a casa”, indimenticabile l’aggressione persino al ricordo di quella ragazzina, indimenticabile tutto.

Infatti le donne dell’UDI, per non dimenticare, hanno deciso. Ed ecco la Staffetta di donne contro la violenza sulle donne. Dalla Sicilia alla Lombardia, un anno intero: un’anfora che ricorda un organo interno, infatti deve accogliere biglietti e pensieri, a due braccia perchè insieme si può uscire dalla violenza.
Qui a Modena, nel settembre del 2006, sempre dunque in quel periodo fondamentale che aprì una nuova vertenza nel paese sulla “violenza sessuata”, per iniziativa dell’UDI tutte le associazioni femminili si sono messe attorno ad un tavolo, hanno proclamato una settimana di sensibilizzazione contro la violenza contro le donne, hanno fatto un sondaggio fra i modenesi, uomini e donne, giovani e meno giovani, sul perchè della violenza e come contrastarla. Abbiamo pubblicato i risultati di quel sondaggio nel quaderno: Cultura violenta. Come fermare il femminicidio (Modena, dicembre 2006) e la risposta che più viene data è: “con la cultura, con una nuova cultura”.

Da allora, dal 2006, qui a Modena, ma certamente anche altrove, grazie al rinnovato dibattito attorno alla violenza, si sono mosse anche le istituzioni, hanno modificato il modo di rilevare i dati, di comunicarli. Si sono fatti progetti di contrasto, percorsi per le donne, ma anche di formazione degli operatori, c’è una consapevolezza nuova, diversa, e ormai delle donne ammazzate in quel modo, per quel motivo, si parla come di vittime di violenza, violenza estrema, ovviamente, e non come semplici protagoniste di fatti di cronaca nera.

Il viaggio dell’anfora, che è in Emilia Romagna già dal 25 aprile ed ha toccato ormai tutte le città, da Modena andrà a Reggio Emilia, poi in Piemonte, Liguria, Toscana, Sardegna, Trentino, Friuli, Lombardia. Prima che in Emilia Romagna era stata nelle Marche, in Abruzzo, pochi giorni prima del terremoto, in Molise, nel Lazio, in Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, partendo da Niscemi. L’anfora interroga le istituzioni perchè da lì può venire l’azione efficace, il progetto di ampio respiro, le misure per realizzarlo, ma va soprattutto fra la gente, nei luoghi più diversi, del lavoro, della cultura, dello svago, per realizzare l’intento delle ragazze, delle donne che almeno questo hanno voluto fare per Lorena e Hiina, testimoniare un “no lungo come l’Italia”.

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